Donatella Zoroddu, «Il commento di Charles K. Barrett agli Atti degli Apostoli. Note di lettura.», Vol. 24 (2011) 71-94
The monumental two-volume commentary by C.K. Barrett on the Acts of the Apostles (ICC), completed in 1998, is a milestone in the exegetical history of this New Testament document. A collection of notes, made during the preparation of the Italian edition of the commentary, is offered, without any claim to completeness. Most of the notes focus on grammatical and lexical questions, but some are also concerned with text critical issues and pay particular attention to the translation of the Greek text with which Barrett opens every pericope. The last section of the article deals with the oversights and inaccuracies that could cause the reader difficulty.
Il commento di Charles K. Barrett agli Atti degli Apostoli. Note di lettura 83
il quale fra l’altro osserva come il secondo termine di paragone sia in
nominativo non preceduto da ἤ, a suo giudizio un errore dovuto all’inte-
resse preminente dell’autore per i dodici giorni, periodo di permanenza
di Paolo a Gerusalemme. Reputa poco probabile l’ipotesi di Moule, 20230,
che ἡμέραι sia il soggetto e δώδεκα (ἡμερῶν) il secondo termine di para-
gone correttamente in genitivo. È tuttavia questa la soluzione che adotta
per 4,22, ἐτῶν ἦν πλειόνων τεσσεράκοντα: “genitive of comparison —
τ. is indeclinable, so that there is no need to quote Aristophanes’ πλεῖν
ἑξακοσίους (Birds 1251) by way of comparison” (B., 239). BDR, § 185.4,
invece cita proprio 4,22 per esemplificare l’assenza del “che” prima dei
dati numerici con πλείων ed ἐλάσσων — “without change of case”, espli-
cita Robertson, 666. Entrambi comprovano questo uso con una nutrita
serie di paralleli (BDR, n. 7)31, fra i quali altri tre in Atti, ossia 23,13=21
(πλείους τεσσεράκοντα) e 25,6, particolarmente pertinente: ἡμέρας οὐ
πλείους ὀκτὼ ἢ δέκα (nessuno di essi è commentato da B. al riguardo).
Non sembra quindi si possa considerare erronea l’espressione di 24,11.
L’episodio dell’udienza di Paolo davanti a Festo, che termina con
l’appello a Cesare, è uno dei più controversi degli Atti (25,1-12). La
trattazione di B., 1120-32, si distingue per concisa chiarezza e lucidità
metodologica32. Se l’intento letterario che informa la narrazione è quello
di mostrare un cristiano rappresentativo come innocente da tutti i punti
di vista e vittima della malvagità (p. 1128 ad 25,9), non si comprende
perché Festo chieda a Paolo il consenso per il trasferimento del processo
a Gerusalemme sollecitato dai giudei, che Festo desiderava ingraziarsi. B.,
l.c., risponde che in questo caso “it is quite possible that there is a histo-
rical reason, and that it is one that is creditable to the Roman official”.
Ma anche questo comportamento si può inscrivere entro una logica lette-
raria: è B. stesso a osservare, poche pagine prima (p. 1124 ad 25,4), che
Festo è uno dei buoni funzionari romani di Luca, che non osteggiano il
cristianesimo (cf. p. 1122). La malvagità in questo modo è fatta ricadere
quasi interamente sui giudei.
L’esordio della difesa di Paolo davanti ad Agrippa presenta alcune
difficoltà sintattiche e un elemento lessicale interessante (26,2-3):
περὶ πάντων ὧν ἐγκαλοῦμαι ὑπὸ 'Ιουδαίων, βασιλεῦ 'Αγρίππα,
ἥγημαι ἐμαυτὸν μακάριον
ἐπὶ σοῦ μέλλων σήμερον ἀπολογεῖσθαι
30
P. 203 nella 2a ed.
31
V. e.g. Mt 26,53: πλείω δώδεκα λεγιῶνας.
32
V. sopra, n. 3 e testo corrispondente.