Donatella Zoroddu, «Il commento di Charles K. Barrett agli Atti degli Apostoli. Note di lettura.», Vol. 24 (2011) 71-94
The monumental two-volume commentary by C.K. Barrett on the Acts of the Apostles (ICC), completed in 1998, is a milestone in the exegetical history of this New Testament document. A collection of notes, made during the preparation of the Italian edition of the commentary, is offered, without any claim to completeness. Most of the notes focus on grammatical and lexical questions, but some are also concerned with text critical issues and pay particular attention to the translation of the Greek text with which Barrett opens every pericope. The last section of the article deals with the oversights and inaccuracies that could cause the reader difficulty.
Il commento di Charles K. Barrett agli Atti degli Apostoli. Note di lettura 73
dizionale2. Lo studioso sa muoversi con equilibrio e senza pregiudizio fra
piano storico e piano letterario. Se la logica che presiede a certi episodi
non è storica, bensì letteraria, la prima domanda da porsi non è “What
happened?” — pure fondamentale —, ma “What does Luke wish to convey
in this paragraph?”. Ci si potrà nondimeno chiedere di volta in volta se
ascrivere a una ragione storica particolari che la logica letteraria sembra
non spiegare3.
Il commento vero e proprio è suddiviso in pericopi, ciascuna delle
quali prende le mosse dalla traduzione del testo greco, per il quale si
rimanda all’edizione 26a del Nestle-Aland (d’ora innanzi N.-A.26). Segue
una bibliografia specifica, che completa quella generale, ricca e ordinata,
quindi l’esegesi vera e propria, aperta da un’esposizione complessiva delle
questioni in causa e della funzione del passo nell’economia degli Atti, e
poi sviluppata in un commento perpetuo versetto per versetto. Tutti gli
elementi che possono contribuire alla comprensione del testo studiato,
dai dati critico-testuali alle informazioni linguistiche, letterarie, storiche,
sociali e non solo, sono messi a disposizione del lettore in una forma che
l’autore ha voluto la più piana possibile, evitando le note a piè di pagina,
senza peraltro sacrificare nulla della finezza e profondità d’analisi. La
tradizione esegetica precedente è interamente dominata e costantemente
utilizzata, ma il debito non è servile, e talora B. interrompe la trasmis-
sione acritica di assiomi ermeneutici fondata su rimandi incrociati fra
commenti e dizionari non supportati da pezze d’appoggio. Così accade in
casi in cui si attribuiscono accezioni speciali negli Atti ad alcuni termini,
ad es. ad ἀνέχεσθαι in 18,14 (v. pp. 873-4), o per l’affermazione, ripetuta
con frequenza “sorprendente” nei commenti, che 276, il numero, ritenuto
simbolico, dei passeggeri che sono insieme a Paolo a bordo della nave che
fa naufragio (27,37), sia la somma dei numeri da 1 a 24, non da 1 a 23
come è in realtà (pp. 1210-1).
I rilievi e le annotazioni che propongo — è superfluo dirlo — non solo
non scalfiscono il valore di un’opera che è una pietra miliare nella storia
esegetica degli Atti degli Apostoli, ma traggono la loro ragion d’essere
dalla sua stessa grandezza.
2
Si vedano fra i tanti esempi le considerazioni sull’udienza di Paolo davanti al consiglio
giudaico (22,30-23,11), alle pp. 1053-5, o sulla sua traduzione a Cesarea (23,12-35), alle pp.
1070-1.
3
B., 1128 ad 25,9, dove si legge altresì che è forse un presupposto falso quello secondo
cui “we have in this paragraph a factual account and […] we ought to be able to find in it,
or behind it, the various motives […] that made the actors act as they did”. Sulla questione
si tornerà più avanti.