Donatella Zoroddu, «Il commento di Charles K. Barrett agli Atti degli Apostoli. Note di lettura.», Vol. 24 (2011) 71-94
The monumental two-volume commentary by C.K. Barrett on the Acts of the Apostles (ICC), completed in 1998, is a milestone in the exegetical history of this New Testament document. A collection of notes, made during the preparation of the Italian edition of the commentary, is offered, without any claim to completeness. Most of the notes focus on grammatical and lexical questions, but some are also concerned with text critical issues and pay particular attention to the translation of the Greek text with which Barrett opens every pericope. The last section of the article deals with the oversights and inaccuracies that could cause the reader difficulty.
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è lasciato “l’uomo” si può forse spiegare presumendo che gli ascoltatori
sapessero che si trattava di un centurione gentile, come è implicito nella
loro accusa, ma si può immaginare che Pietro reputasse non importante
l’informazione che egli era un timorato di Dio (10,2)? Questi elementi
inducono B. a un giudizio di “carelessness” da parte di Luca in questa
parte del racconto. Se però si considera la strategia narrativa complessiva
dispiegata in questo episodio di svolta degli Atti, strategia nella quale
l’iterazione svolge un ruolo cruciale, si può ipotizzare che i silenzi della
relazione di Pietro siano voluti da Luca sotto molteplici punti di vista:
per non attardarsi in notizie che devono essere già note all’uditorio che
contesta Pietro, oltre che a quello di Luca; per concentrare l’attenzio-
ne sull’iniziativa divina, non sugli attori umani della vicenda e i loro
eventuali meriti; per trascendere il caso singolo, con nome e collocazione
individuali, a favore del principio universale10.
Nel kerygma cristologico enunciato da Paolo durante la predica sina-
gogale di Antiochia di Pisidia si legge che gli abitanti di Gerusalemme e
i loro capi τοῦτον (con ogni probabilità Gesù, ma non si può escludere il
λόγος del v. 26) ἀγνοήσαντες καὶ τὰς φωνὰς τῶν προφητῶν τὰς κατὰ
πᾶν σάββατον ἀναγινωσκομένας κρίναντες ἐπλήρωσαν (13,27). Il par-
ticipio ἀγνοήσαντες rappresenta un nodo esegetico intricato, tra l’altro
perché l’ignoranza potrebbe essere intesa come attenuante11 o al contrario,
se vi si riconosce una componente di volontarietà, come aggravante (cf.
3,17). Qui interessa il problema sintattico, congiunto a quello teologico,
della funzione del participio, che potrebbe essere tanto causale o stru-
mentale (così ad es. Stählin, Rius-Camps – J. Read-Heimerdinger, KJV,
RSV, NRS) quanto concessiva o avversativa (e.g. Schneider, NIB, NJB):
“non riconoscendo oppure pur non riconoscendo lui e le parole dei profeti
che si leggono ogni sabato, giudicandolo le adempirono”. La questione è
spinosa e probabilmente impossibile da risolvere con argomenti definitivi.
Le indicazioni che si traggono da B., che non la affronta esplicitamente,
sono ambigue: a p. 620 traduce “though they did not recognize”, e nella
nota esegetica a p. 640 commenta: “they unconsciously fulfilled prophecy
because they did not know, recognize, Jesus”, e ancora: “because they did
not understand … they judged him”.
10
Su tutto ciò e sugli aspetti narratologici implicati rinvio al mio “Does the New
Testament Imitate Homer?”, Ath 97 (2009) 563-603, spec. § 9: “Repetita iuvant”.
11
Rius-Camps – Read-Heimerdinger respingono in una prospettiva giudaica questa
interpretazione. Il loro commento, III, 74-5, 92-4, mette in evidenza i vari problemi posti
dal versetto, e attribuisce un taglio peculiare al testo del codex Bezae, caratterizzato dalle
lezioni μὴ συνιέντες τὰς γραφάς (in luogo di τοῦτον ἀγνοήσαντες καὶ τὰς φωνάς) e καί
prima di κρίναντες.