Donatella Zoroddu, «Il commento di Charles K. Barrett agli Atti degli Apostoli. Note di lettura.», Vol. 24 (2011) 71-94
The monumental two-volume commentary by C.K. Barrett on the Acts of the Apostles (ICC), completed in 1998, is a milestone in the exegetical history of this New Testament document. A collection of notes, made during the preparation of the Italian edition of the commentary, is offered, without any claim to completeness. Most of the notes focus on grammatical and lexical questions, but some are also concerned with text critical issues and pay particular attention to the translation of the Greek text with which Barrett opens every pericope. The last section of the article deals with the oversights and inaccuracies that could cause the reader difficulty.
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Il primo gruppo di osservazioni segue lo svolgersi delle note esegetiche
e tocca perlopiù aspetti grammaticali e lessicali.
In uno dei grandi discorsi degli Atti: Pietro presenta la passione e
morte di Cristo come compimento delle profezie veterotestamentarie:
ὁ δὲ θεός ἃ προκατήγγειλεν διὰ στόματος πάντων τῶν προφητῶν
παθεῖν τὸν Χριστὸν αὐτοῦ, ἐπλήρωσεν οὕτως (3,18). B., 186, traduce:
“but God in this way fulfilled the things he had announced beforehand
by the mouth of all the prophets, namely, that his Christ should suffer”,
interpretando l’infinito παθεῖν come epesegetico di ἅ, accusativo retto
da προκατήγγειλεν (BDR, § 394.2, n. 2). È, a quanto mi è dato di vedere,
la resa corrente del passo, che tuttavia si può intendere altrimenti dal
punto di vista grammaticale, con ἅ come accusativo retto ἀπὸ κοινοῦ
da προκατήγγειλεν e da παθεῖν: letteralmente, “Dio ha adempiuto in
questo modo le cose che per bocca di tutti i profeti aveva annunciato
anzitempo che il suo cristo avrebbe sofferto”. L’espressione παθεῖν τὸν
Χριστὸν αὐτοῦ è ascritta a Luca da B., 189, che ne fornisce due paralleli
in Lc 24,26 e 46. Nel secondo il verbo è usato assolutamente, nel primo ha
come oggetto il pronome neutro plurale ταῦτα. E se si considerano più in
generale i passi in cui la sofferenza di Gesù è indicata da παθεῖν, si ha la
costruzione col neutro plurale πολλά in Lc 9,22 e 17,25, l’uso assoluto in
Lc 22,15 e At 1,3 e 17,34. Mi pare quindi che la costruzione alternativa
meritasse se non altro una menzione nel commento.
Davanti al sinedrio Pietro e gli apostoli si definiscono μάρτυρες τῶν
ῥημάτων τούτων, “witnesses of these things” (5,32), ossia dell’uccisione,
risurrezione ed esaltazione di Gesù. A ῥῆμα è qui attribuita l’accezione
di matrice ebraica “oggetto di discorso, cosa” che compare spesso nei
LXX e nel NT, e negli Atti si incontra anche in 10,37 (B.: “event”) e 13,42
(B.: “things”). Il traducente “thing(s)” è utilizzato da B. anche per altre
occorrenze (10,44; 16,38; 28,25), dove però appare una resa generica per
indicare le parole dette. Solo commentando 10,37 (p. 522) B. accenna
fugacemente alla possibilità che il termine possa significare “thing”, senza
far parola dell’ascendenza ebraica e veterotestamentaria che spiega que-
sto significato5, né della peculiarità di Luca-Atti, ove coesistono le due
accezioni, come accade soltanto nel Deuteronomio6. Secondo Stählin,
92, poiché “Gottes Taten immer Verkündigung und Gottes Worte immer
Ereignis sind”, “Tatsachen” e “Worte” sono entrambe traduzioni esatte in
5,32.
4
I paralleli sono elencati da Schneider, I, 323, n. 78, che segnala altresì (p. 312, n. n) la
variante di D h in 3,18 ὅ in luogo di ἅ, riferendola a un'unica predizione. Al riguardo cf.
Rius-Camps – Read-Heimerdinger, I, 223.
5
Vi si sofferma invece Schneider, I, 397, n. 104. V. inoltre BDAG, s.v., 3, nonché Thayer,
s.v., 2, e Moulton-Milligan, s.v.