Romano Penna, «La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca», Vol. 84 (2003) 61-88
La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca
peira=sqe...a)gaqh=| moi/ra| kai_ qei/a| tini_ tu/xh|). Conclusione: "Questo è il mio consiglio e la mia disposizione, e questo è il resoconto della mia prima venuta da Dionisio" (ib.).
II. Il secondo e terzo viaggio di Platone in Sicilia: 337E-352A.
II.1. Racconto dei fatti e riflessioni su di essi: 337E- 351E
— 337E-340A: triplice invito rivolto a Platone di tornare a Siracusa da parte di Dionisio II, che sembrava ben disposto verso la filosofia; Platone rifiuta adducendo la sua condizione di "vecchio" (ge/rwn), ma la terza volta Dionisio manda una trireme a prenderlo ad Atene, insieme a una lettera (accompagnata da altre di Archita di Taranto) in cui promette che se fosse venuto si sarebbe risolta positivamente anche la situazione di Dione esiliato;
— 340B-342A: a Siracusa Platone intende mettere alla prova Dionisio per vedere se davvero era "infiammato dalla filosofia". Il modo per farlo è di mostrare quanta fatica occorre per diventare ed essere filosofi (o!son po/non e!xei: 340B), perché chi è dedito alla mollezza non vi si adegua. In seguito, Platone sentì dire che Dionisio aveva scritto su queste cose, come se fossero cose sue. E qui Platone protesta: "Non esiste nessun mio scritto sull’argomento né mai esisterà" poiché "non si tratta assolutamente di un argomento che sia lecito insegnare come gli altri, ma solo dopo lunga frequentazione e convivenza con il suo contenuto esso si manifesta all’improvviso nell’anima come una luce che subitamente si accende da un fuoco" (341CD). Platone perciò afferma che i suoi insegnamenti sono riservati non alla massa ma a pochissimi.
— 342A-344D: è un lungo excursus sul lo/goj a)lhqh/j inteso come dottrina specifica di Platone. Ci sono tre gradi per accedere alla conoscenza di un essere: il nome, la definizione, l’immagine, e infine appunto la conoscenza (o!noma, lo/goj, ei!dwlon, e)pisth/mh / nou=j); solo quest’ultima si avvicina maggiormente all’essere per affinità e somiglianza (cuggenei/a| kai_ o(moio/thti), ma si arriva alla loro chiarificazione "attraverso la debolezza del linguaggio" (dia_ to_ tw=n lo/gwn a)sqene/j: 342E), e perciò è un rischio affidarsi a questo mezzo, soprattutto se si tratta di uno scritto, che è immobile; d’altronde l’anima cerca di conoscere non "il come" ma "il che" (ou) to_ poi=on, to_ de_ ti/), anche se ognuno dei quattro elementi porta davanti ad essa quello che essa non cerca; perciò non bastano né la predisposizione ad apprendere né la memoria, se non c’è una affinità di fondo con le cose, e viceversa; dato che "menzogna e verità" si mescolano insieme, delle cose serie non bisogna scrivere per non esporle all’incomprensione, e dunque quando si vedono degli scritti bisogna concludere che si tratta di cose non di grande serietà.
— 344D-345C: le cose dette nell’excursus vengono applicate a Dionisio, che, se ha scritto qualcosa in materia, è segno che non ha capito; ma se le riteneva degne dell’educazione di un’anima libera, come mai è giunto al dispregio del maestro di tali dottrine?
— 345C-347E: come Dionisio si è comportato nei confronti di Dione e dei suoi beni. Con un cavillo giuridico Dionisio stabilì che i beni di Dione esiliato in Peloponneso non erano più suoi ma del figlio, così da poterne disporre egli stesso. Platone, vedendo che la precedente