Romano Penna, «La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca», Vol. 84 (2003) 61-88
La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca
promessa non era mantenuta, intende tornare ad Atene. Dionisio allora vuole trattenerlo con sé, promettendogli di restituire a Dione i suoi beni, a condizione che non congiurasse più contro di lui e che di ciò Platone fosse garante. Il giorno dopo Platone gli risponde che sarebbe stato necessario scrivere a Dione presentandogli questo tipo di accordo per chiedere il suo parere. Ma Dionisio vende tutte le sostanze di Dione.
— 347E-350B: il caso della ribellione dei soldati per la decisione di Dionisio di diminuire la paga ai mercenari con maggiore anzianità, e contrasti con Eraclida che ne sembrò il sobillatore; disaccordo di Dionisio con Platone, che simpatizzava con chi aveva tentato di difendere Eraclida.
— 350B-E: ritorno di Platone in Grecia e suo incontro con Dione, che vuole preparare la vendetta contro Dionisio. Platone acconsente che Dione si faccia aiutare dai suoi amici ma personalmente si dissocia ("Finché desiderate il male, chiamate qualcun altro": 350D).
— 351A-E: elogio conclusivo di Dione, qualificato come uomo misurato (me/trioj), diverso da Dionisio che era meschino e incapace di dominarsi, dilapidatore di sostanze altrui, essendo invece egli amante delle leggi più giuste e migliori, "uomo santo circondato da empi, saggio e assennato" (o#sioj a!nqrwpoj a)nosi/wn peri/, sw/frwn te kai_ e!mfrwn). Come un buon pilota di nave, che non viene colto di sorpresa dall’avvicinarsi della tempesta, ma non può certo prevederne l’intensità e deve soccombere alla sua improvvisa violenza, così "Dione fallì perché non gli era nascosto quanto fossero malvagi coloro che lo rovinarono, ma non riuscì a rendersi conto quanto profonde fossero la loro cattiveria e voracità" (351DE).
II.2. I consigli che se ne traggono: 352A
Platone rimanda brevemente e semplicemente a ciò che ha già detto: "Se quel che ho detto è apparso ragionevole a qualcuno..., ci sembrerà misurato e sufficiente quel che ho appena finito di esporre, ta_ nu=n ei)rhme/na". Il testo epistolare tramandato finisce qui, senza una formula di saluto.
2. Seneca, Lettera 95 a Lucilio.
È la più lunga delle lettere di Seneca, ed egli stesso la definisce ingens epistula (95,3).
a) Il contenuto della lettera
Il contenuto della lettera è di tipo filosofico-speculativo, tale da accostarla più che mai al genere odierno del saggio 44, anche se più