Romano Penna, «La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca», Vol. 84 (2003) 61-88
La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca
L’affinità sta nel concetto stesso di quaestio e nella sua modalità "infinita". La dissomiglianza sta nel fatto che Seneca non solo non impiega il termine, ma soprattutto la sua enunciazione non consiste positivamente in una tesi vera e propria bensì in un quesito (introdotto dalla congiunzione interrogativa an), mentre in forma tetica sono formulate per cinque volte solo le posizioni avverse a cui il filosofo oppone ovviamente la sua.
(2) Che epistolografia e retorica non siano semplicemente sovrapponibili è ammesso dagli stessi retori antichi. Mi riferisco a quelle dichiarazioni, in base alle quali essi stessi, che pur sono i teorici che sistematizzano le regole del discorso in maglie apparentemente ferree, concedono poi di fatto che le loro regole non siano affatto imprescindibili nella costruzione del discorso stesso, nel senso che chiunque componga un ragionamento o abbia qualcosa da esporre segue comunque quelle norme anche senza saperlo. Ciò è attestato addirittura nei due massimi sistematizzatori della retorica, Aristotele e Quintiliano, con riferimento rispettivamente alla retorica in generale e a un suo dettaglio in particolare.
Già Aristotele, addirittura nell’incipit della sua famosa opera, scrive con tutto il candore possibile:
La retorica è analoga alla dialettica: entrambe riguardano oggetti che, in certo modo, è proprio di tutti gli uomini conoscere (a$ koina_ ... a)pa/ntwn e)sti gnwri/zein) e non di una scienza specifica (kai_ ou)demia=j e)pisth/mhj a)fwrisme/nhj). Perciò tutti partecipano in certo modo a entrambe (dio_ kai_ pa/ntej tro/pon tina_ mete/xousin a)mfoi=n); tutti infatti sino a un certo punto si occupano di indagare su qualche tesi e di sostenerla, di difendersi e di accusare. Senonché la maggior parte lo fa spontaneamente (ei)kh=|), mentre alcuni lo fanno per una abitudine che proviene da esperienza (a)po_ e#cewj). Poiché sono possibili entrambe le cose, è evidente che anche in questa materia si può delineare un metodo49.
Analogamente Quintiliano si esprime a proposito della propositio trattando della disposizione globale del discorso: "Chi mai è tanto inesperto, chi è tanto alieno dalla cultura da non incominciare in questo modo, anche se non sapesse nemmeno che cosa sia una propositio?"50.
Si deduce di qui non che gli incolti seguano regole diverse