Romano Penna, «La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca», Vol. 84 (2003) 61-88
La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca
nessuno può naturalmente fare a meno quando vuole esporre a parole un qualche caso o una qualche tesi. Ma è assai significativo che Seneca anticipi la propositio della lettera 95 addirittura nella precedente lettera 94. Nessuna meraviglia, dunque, se all’interno della stessa lettera ai Romani la propositio della prima parte, enunciata in 1,16-17, viene poi ripresa soltanto in 3,21ss. Analogamente, non deve meravigliare se le due grandi questioni enunciate in 3,1-4.5-8 (cioè: quale sia il di più del Giudeo e se occorra fare il male perché abbondi la grazia) vengono poi riprese separatamente e persino invertite in due momenti diversi (corrispondenti alle sezioni dei capitoli 6-8 e 9-11), secondo la tecnica che la retorica stessa conosce con il termine greco di pro/lhyij o con quello latino di praesumptio, cioè di anticipazione54. Ma i contatti di Rom con la retorica, a parte i procedimenti propri della elocutio, finiscono qui55.
L’argomentazione dell’Apostolo, dunque56, tende allo scopo di esporre la natura e le esigenze dell’evangelo procedendo in due