Romano Penna, «La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca», Vol. 84 (2003) 61-88
La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca
avrebbe senso, se non supponesse e si fondasse su questo dato che è pre-morale, consistente appunto nella concretizzazione dell’a)ga/ph di Dio in Cristo, la quale raggiunge e rinnova l’uomo sia in quanto crede in lui sia in quanto partecipa al suo destino e alla sua identità.
Si dice a volte che la sola precettistica morale farebbe del cristiano uno stoico. Ma è proprio Seneca a ritenere errata questa visione delle cose, nella misura in cui la precettistica volesse prescindere da fondamenti più generali. Ebbene, proprio la struttura d’insieme della lettera ai Romani, e in specie la diversa estensione della prima parte rispetto alla seconda, in qualche modo ripete la preoccupazione propria di Seneca espressa nella lettera 95. Questi infatti è ben cosciente che una mera sfilza di singoli precetti non è affatto sufficiente a formare pienamente l’uomo. Ecco le sue parole:
Che dire del fatto che nessuno farà convenientemente quel che deve fare, se non avrà appreso la norma (ratio), secondo la quale in ciascun caso potrà compiere tutto l’elenco dei suoi doveri? E non potrà compierlo chi avrà ricevuto ammaestramenti solo particolari, non generali, poiché quelli particolari sono di per sé deboli (imbecilla) e per così dire senza radice (sine radice). I princìpi fondamentali (decreta) invece ci rendono sicuri (muniant), proteggono la nostra quiete e tranquillità (saecuritatem nostram tranquillitatemque tueantur), contengono insieme tutta intera la vita e la natura delle cose60.
Certo per Seneca i principi fondamentali, i decreta, sono essi stessi di ordine morale. Ma resta la regola di fondo, secondo cui "quale sarà la persuasione, tali saranno le azioni, ... tale sarà la vita" (qualis persuasio fuerit, talia erunt quae agentur, ... talis vita erit), cosicché "bisogna imprimere nell’animo una salda persuasione che serva per tutta la vita, e questa appunto è ciò che io chiamo principio fondamentale" (Ergo infigi debet persuasio ad totam pertinens vitam, hoc est quod decretum voco), così come i naviganti dirigono la rotta guardando a qualche stella61.
Se al decretum morale di Seneca sostituiamo l’eu)agge/lion paolino, la struttura del pensiero resterebbe la medesima. Ma il vantaggio di Paolo è che la dispositio della lettera ai Romani, per la sua netta impostazione strutturale bipartita, rende maggiormente onore al rapporto tra i due fattori, chiarificandoli con più nettezza. Esattamente per questo, la lettera ai Romani condivide e propugna ancora meglio la stessa necessità proclamata da Seneca, anche se ovviamente