Romano Penna, «La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca», Vol. 84 (2003) 61-88
La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca
l’arte di dar consigli, di confortare ed esortare, al cui scopo è molto utile quella che egli chiamava ‘etologia’, cioè la descrizione di ogni virtù attraverso la proposizione di modelli; perciò "mettiamo davanti agli occhi azioni meritevoli e non mancheranno imitatori" (Proponamus laudanda, invenietur imitator: 66). Vengono perciò proposti alcuni esempi, poiché non basta dire come devono essere i boni viri ma occorre anche raccontare come essi si sono comportati: seguono così alcune figure, di cui la principale è quella di Catone (Uticense), delineato con i tratti che servono a Virgilio [Georgiche III75-81.83-85] per descrivere un puledro di razza, poiché egli si oppose sia a Cesare sia a Pompeo (95,68-72a); si menzionano poi di sfuggita "la sapienza di Lelio e l’intima amicizia col suo Scipione (l’Emiliano), le nobili azioni compiute dall’altro Catone (il Censore) in patria e fuori, e i letti di legno di Tuberone" (95,72). La lettera 95 si chiude di fatto sulla menzione di questo uomo pressoché sconosciuto e quasi con una dossologia a lui rivolta: personaggio certamente secondario, egli però è lodevole agli occhi di Seneca per aver preparato divani di legno e stoviglie di terracotta in occasione di un festoso banchetto imbandito per Scipione l’Africano, così che "in quel giorno il popolo romano vide la suppellettile di molti, ma ammirò quella di uno solo. L’oro e l’argento degli altri è stato spezzato e fuso mille volte, ma i vasi di terra di Tuberone dureranno per tutti i secoli" (95,73). Vale!
III. Epistolografia e retorica
Dall’analisi delle due lettere, anche solo come impressione generale, risulta con sufficiente chiarezza che i due ambiti si toccano appena di striscio. Ma vediamo di formulare con maggiore precisione un paio di considerazioni.
(1) Innanzitutto è innegabile che elementi propri della retorica si possono rinvenire qua e là. Ma bisogna distinguere: alcuni di essi sono simili, altri soltanto apparenti, altri ancora sono contrari.
Simile, almeno nella lettera di Platone, è certamente il fatto che essa incominci con una sorta di proemio, in cui si fa riferimento all’occasione dello scritto (323E-324A), e persino con una dichiarazione d’intenti del tutto analoga a una propositio (324AB). La seconda parte della lettera, poi, inizia col richiamare lo schema cronologico (337E) dichiarato fin da principio, così ripetendo in qualche modo non tanto la propositio d’avvio quanto il metodo espositivo là precisato.
Soltanto apparente, però, nella stessa lettera è la narratio iniziale, che non ha nulla della dispositio retorica, visto che ‘narrativo’ è lo schema portante dell’intero scritto benché regga una disquisizione di carattere politico. Solo apparente, inoltre, è il genere esplicitamente ‘symboleutico’ della stessa lettera 7 di Platone, dove il testo epistolare