Romano Penna, «La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca», Vol. 84 (2003) 61-88
La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca
— 326B-E, arrivo in Italia e constatazione della vita "che qui si diceva felice, tutta impegnata nei famosi banchetti italioti e siracusani, nel riempirsi il ventre due volte al giorno...", a cui si accompagna un duro giudizio: "Nessun uomo di quanti vivono sotto la volta del cielo può diventare saggio, se si avvezza fin dalla più tenera età ad abitudini simili";
— 327A-329B: il rapporto di Platone con Dione e la maturazione di quest’ultimo verso alti ideali filosofico-politici. Dione "manifestò senz’altro il proponimento di vivere per il resto della vita in modo diverso dalla massa degl’italioti e dei sicelioti, dal momento che aveva concepito per la virtù un amore superiore a quello per il piacere e la vita dissoluta" (327B), "aveva ferme speranze che in tutto il paese si potesse stabilire un regime di vita felice a autentico, senza uccisioni, senza morti..." (327D); Platone intuisce che "era quella la volta buona che si compisse la speranza che i filosofi assumessero in prima persona il ruolo di reggitori di città importanti" (328A), e perciò si reca in Sicilia anche per far passare il suo pensiero politico dalle parole ai fatti, vergognandosi di essere capace solo di parole (328B-329B);
— 329B-336B, la deprecabile sorte di Dione: Dione è accusato presso Dionisio di congiurare ai suoi danni e viene esiliato (329B-333C); inutilità di dare consigli a chi non vuole accettarli, poiché Dionisio avrebbe potuto farsi amico Dione (come aveva fatto Dario in Persia e come fece Atene con varie città, assicurandosi il proprio dominio); Dionisio invece non disponeva di amici di cui potersi fidare. Poiché Dione tornò poi a Siracusa da Atene portando con sé degli amici ateniesi che lo tradirono uccidendolo, Platone difende il buon nome della cittadinanza ateniese (333D-334C). La lezione che ne trae è di "non asservire la Sicilia sotto uomini padroni né sotto altro Stato, ma sotto leggi" (334C), sapendo che "quando si nutre l’aspirazione a ciò che è bene in assoluto, è retto e bello andare incontro a qualunque sofferenza" (334E); segue un piccolo excursus sull’anima immortale che dovrà essere giudicata e che perciò non deve cedere ai piaceri delle bestie (334E-335B): queste cose Platone aveva insegnato a Dione, il quale non avrebbe adottato nessun’altra forma di governo se non quella della "saggezza guidata dalla giustizia" (335D) poiché era un uomo "giusto, coraggioso, saggio e filosofo" (336A); invece qualche démone ha rovinato tutto (336B).
I.2. I consigli che se ne traggono: 336C-337E
Platone consiglia i destinatari a imitare Dione nel suo amore per la patria e nel suo saggio tenore di vita per portare a compimento i suoi progetti: non chiamare al governo chi non sa vivere secondo le tradizioni degli antenati, ma tutti gli altri; non avere paura di Atene; rendersi conto che nelle guerre civili non c’è mai fine ai mali; farsi legislatori di leggi comuni a tutti in modo tale che i vincitori si facciano vedere sottoposti alle leggi ancor più dei vinti, poiché solo allora ci sarà "felicità e salvezza" (337D: swthri/a te kai_ eu)daimoni/a). Esortazione conclusiva: "Provateci voi ora a realizzare tali progetti con miglior esito, aiutati dalla buona sorte e dalla benevolenza divina" (337E: u(mei=j