Romano Penna, «La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca», Vol. 84 (2003) 61-88
La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca
solo per essere pronunciati pubblicamente oppure per costituire esercizi preparatori da parte di studenti (detti progymnásmata)9.
Orbene, per quanto riguarda gli scritti del Nuovo Testamento, succede che vari studiosi contemporanei abbiano applicato le regole della retorica alle lettere di Paolo, che per definizione non sono certo dei discorsi tenuti in pubblico. È vero che le lettere dell’Apostolo (persino il breve biglietto indirizzato a Filemone: cf. v. 2) dovevano poi essere lette pubblicamente ad alta voce davanti a una ekkle4s|%a, quella radunata e ospitata di volta in volta in singole case di cristiani benestanti10. Sicché "la diffusa abitudine tra gli studiosi di riferirsi ai ‘lettori’ dovrebbe essere abbandonata come un anacronismo, poiché è assolutamente verosimile che a Roma [come altrove] ci fosse un unico lettore, essendo i destinatari solo ascoltatori"11. Ma ciò non basta certo ad equiparare il genere epistolare a quello oratorio. Bisogna infatti tenere conto di varie ragioni contrarie12. C’è già il fatto che le assemblee cristiane destinatarie delle lettere sono composte da un piccolo numero di ‘ascoltatori’,