Romano Penna, «La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca», Vol. 84 (2003) 61-88
La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca
fuori di ogni dubbio che Paolo ricorre più volte a queste tecniche retoriche con abilità e originalità; anzi, "è qui che probabilmente Paolo è più vicino alla tecnica retorica antica così che l’interprete è legittimato ad analizzare le sue lettere dal punto di vista retorico antico"22. In ogni caso, è la sua stessa teologia ad esserne fortemente impregnata23.
Ma la vera questione è se alle lettere si possano applicare tali e quali le regole della retorica, in particolare quelle concernenti la dispositio (in greco variamente detta dia/qesij o ta/cij o anche oi)konomi/a), intesa non tanto come collocazione delle singole parole quanto come ripartizione dell’intero discorso, le partes orationis (mo/ria lo/gou)24. Secondo la precettistica manualistica, la dispositio è la sezione della retorica che, a differenza delle altre due (inventio ed elocutio), presenta e richiede una griglia sostanzialmente fissa nella trattazione della materia. È vero che Aristotele parlava solo di quattro parti: il proemio, la proposizione, l’argomentazione, e l’epilogo25. Ma, poi, soprattutto sotto l’influsso della Rhetorica ad Herennium dello Ps.-Cicerone (= Cornificio)26, si pervenne a una suddivisione standard in 6 parti: exordium, narratio, propositio/partitio, argumentatio, digressio, peroratio.
Un eccellente studio circa la storia e la teoria della dispositio nell’antichità è stato fatto da Wuellner27. Se ne deducono almeno due acquisizioni interessanti. L’una è che fu soltanto Cicerone a teorizzare la necessità di interessarsi della dispositio dopo aver precisato la necessità della inventio, lasciando la elocutio al terzo posto (e poi fu lui il