Romano Penna, «La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca», Vol. 84 (2003) 61-88
La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca
di Aristotele). Lo studio di Reed dedica solo tre pagine (in realtà due scarse) per verificare concretamente come stanno le cose. La conclusione piuttosto veloce è che la flessibilità del genere poteva permettere una certa conflazione con altri generi, ma solo superficiale 32; soprattutto egli afferma con un bel paragone che "il genere retorico e quello epistolare possono essere stati fidanzati, ma non si sono mai sposati" 33!
Le due lettere prese in considerazione da Reed se non altro rappresentano, dal punto di vista metodologico, un passo avanti rispetto a chi emette giudizi sommari sul rapporto tra epistolografia e retorica, senza mai confrontarsi direttamente con testi epistolari precisi. L’importante invece è di verificare, come si dice, in corpore vili le proprie tesi per rendersi conto se e come si possa eventualmente sostenere il confronto.
Ma le due lettere prese in esame da questo Autore sono troppo brevi: ca. 1900 parole la prima, e ca. 3300 parole la seconda34. Volendo rigorosamente restringere il nostro esame comparativistico alla lettera ai Romani, l’operazione condotta da Reed si rivela insufficiente, non solo per l’estensione troppo esigua della sua analisi quanto soprattutto per la inadeguata ampiezza del testo epistolare considerato. La lettera paolina infatti è costituita da ben 7.100 parole. Ora, l’applicazione delle regole della dispositio è certamente ben più verosimile in un testo ampio, dove la materia trattata è estesa e sviluppata su di un arco espositivo tale da permettere lo svolgimento di una vera e propria argomentazione. Per fare un esempio evidentemente contrario, è sicuramente inutile voler studiare la dispositio in una delle lettere papiracee rinvenute in Egitto ma neanche nelle lettere Ad familiares di Cicerone. Occorre dunque confrontare Rom con lettere più o meno omogenee, che possano reggere il confronto già dal semplice punto di vista dell’estensione. In più, bisogna che l’argomento trattato sia non tanto di tipo personale o soltanto autobiografico, quanto piuttosto sufficientemente generale, se non proprio dottrinale, quasi si trattasse di un saggio su di uno specifico tema. Questa in effetti è la forma che spesso