Romano Penna, «La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca», Vol. 84 (2003) 61-88
La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca
assumono le lettere antiche35. E a questa forma, tenuto conto della sua trattazione di vasto respiro evangelico e storico-salvifico, si può in un certo senso accostare la lettera di Paolo ai Romani36, benché non si debba sottovalutare l’importanza delle circostanze, sia quelle personali del mittente, sia quelle comunitarie dei destinatari37.
II. La lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca
La scelta delle due lettere che ora prendiamo in considerazione si giustifica per più di un motivo. Un primo motivo, come già accennato, sta nella loro estensione, essendo entrambe le più lunghe scritte dai due autori, così come Rom è la più lunga lettera di Paolo: infatti, la lettera di Platone assomma a ca. 8.000 parole, mentre quella di Seneca ne computa poco meno di 5.000. Inoltre, la lettera di Platone viene da un autore che ha scritto anche di retorica, poiché nel Fedro egli si pronuncia esplicitamente sull’"arte dei discorsi" (h( lo/gwn te/xnh), mettendo in bocca a Socrate una teoria della dispositio che comprende il proemio (prooi/mion), la narrazione (dih/ghsij), le argomentazioni (tekmh/ria), le verosimiglianze (ei)ko/ta), la conferma e riconferma (pi/stij - e)pipi/stij) e poi uno riepilogo (e)pa/nodoj)38. Quanto a Seneca, benché scriva in latino, è contemporaneo di Paolo e quindi in qualche modo storicamente erede alla pari di una elaborazione teorica della dispositio già avvenuta da tempo; inoltre, mentre è assai discutibile che Paolo abbia avuto una vera e propria formazione retorica39, non si