Romano Penna, «La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca», Vol. 84 (2003) 61-88
La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca
si risolve in una specie di encomio post mortem di Dione e delle sue opinioni politiche concernenti Siracusa e la polis in generale, del tutto conformi all’ideale platonico circa il filosofo come reggitore della polis (324B; 326B: "Mai le generazioni degli uomini avrebbero potuto liberarsi dai mali fino a che o non fossero giunti ai vertici del potere politico i filosofi veri e schietti o i governanti delle città, per un destino divino, non diventassero filosofi"). Perciò è incerto se la lettera parli più di Platone o di Dione o della migliore costituzione politica; in realtà i tre argomenti sono intrecciati.
Il procedimento: Platone struttura la sua esposizione su di una griglia di carattere cronologico-biografico, la quale a sua volta è al servizio di una dottrina politica, esemplificata appunto sulla figura di Dione.
Mancanza di omogeneità: di passaggio vi si trova una lettera di Dionisio II (339B-339C) e un lungo excursus filosofico sulla comunicabilità del sapere, se essa avvenga attraverso la definizione o attraverso l’esperienza (con una introduzione in 340B-341A e il corpo dell’excursus in 342A-344D definito pla/noj, "digressione", in 344D).
È dunque evidente la complessità dello scritto, che il Momigliano definì "un tentativo notevole di combinare riflessioni su problemi eterni con esperienze personali"43.
b) Il tipo epistolare
Il tipo epistolare è certamente ‘di consiglio’ o, detto nei termini sia dei generi retorici (Aristotele) sia dei tipi epistolari (Ps.-Demetrio), sumbouleutiko/j; infatti, nei punti strategici del testo ricorrono almeno 25 volte i termini sumboulh/ e sumbouleu/w (326E, 327A, 330CDE [qui 6 volte; in 330C si precisa l’oggetto: "ciò che bisogna fare", a$ xrh_ poiei=n], 331ABD [10 volte], 332C, 334C [2 volte], 336C, 337E, 338A, 352A). Questo tipo epistolare è certamente connesso con uno degli scopi primari della retorica, quello cioè di "persuadere": infatti, Platone dichiara di avere cercato già prima di farlo con Dionisio e con Dione (e)pexei/rhsa e)gw_ pei/qein), anche se il primo non gli diede ascolto (o( me_n mh_ peiqo/menoj) e il secondo sì (o( de_ peiqo/menoj) ma andando incontro a una morte nobile (334DE, te/qnhken kalw=j). Ora Platone cerca di farlo anche con i destinatari di questa lettera (334D: e)moi_ pei/qesqe).
c) La struttura o dispositio
A parte il prescritto ("Platone ai familiari e agli amici di Dione, buone cose"), che precisa la destinazione pluralistica dello scritto, è evidente