Franco Manzi, «La fede degli uomini e la singolare relazione filiale di Gesù con Dio nell’Epistola agli Ebrei», Vol. 81 (2000) 32-62
The results of this specifically exegetical study on the Epistle to the Hebrews in the first place go against a tendency to interpret in an intellectualistic vein the passages dealing with human faith. For the Epistle, in fact, while faith does have a cognitive aspect, it is above all characterised by eschatological tension, and involves a participation, mediated by Christ, of the whole human person in divine life. In the second place, the study distances itself from prejudicial attempts at assimilating the filial relationship that exists between Jesus Christ and the Father to the mere faith that Christians have in God. On the basis of the Epistle’s repeated affirmation of the Son of God’s having, fulli sin, assumed fulli truly human nature, apart from sin, it is possible to undertake a comparative examination of the characteristics proper to these two relationships. The outcome is to bring out how the unique relationship of Jesus to the Father is marked by his reverence towards God, his obedience to God and his constancy in maintaining the relationship. However, these characteristics are also those of the faith of men, even though that faith remains founded solely on the fact of Christ himself being worthy of trust.
terribile del sacro, come quella di Mosè (v. 21; cf. Dt 9,19, LXX); ma essa resta inferiore a quella cristiana. In netta antitesi con il carattere impersonale della vicenda sinaitica, la fede cristiana è allinsegna della comunione con una moltitudine di esseri spirituali (cf. Dn 7,10, LXX), fondata sullattività salvifica di Gesù, "mediatore di una nuova alleanza" (Eb 12,24a)48. I cristiani, perciò, hanno lobbligo morale di mantenersi in questo ambito salvifico. Il risvolto responsabilizzante della superiorità della mediazione cristologica rispetto a quella mosaica (cf. vv. 25-27) e dellesperienza della fede cristiana nei confronti di quella anticotestamentaria (cf. vv. 18-24) è una prospettiva escatologica venata anche da "una terribile attesa del giudizio" (10,27a). Già in 2,3 il castigo futuro impressionava per lindeterminatezza della minaccia49, che in 10,27b viene evocata con limmagine dell"ardore di un fuoco che deve divorare gli avversari". In 12,29, la prospettiva si precisa, mediante la citazione di Dt 4,24 e 9,3 (LXX), in cui il "fuoco divoratore" è identificato con Dio stesso. Per questa ragione, gli atteggiamenti dominanti nel contesto escatologico in cui vivono i cristiani sono anche quelli della "pietà" e del "timore" religioso di Dio (meta_ eu)labei/aj kai_ de/ouj, Eb 12,28c), sempre finalizzati però ad un culto a lui gradito (v. 28c).
In sintesi: dallanalisi di Eb 5,7; 11,7 e 12,28 possiamo concludere che nella singolare relazione di Gesù con Dio Padre è individuabile un atteggiamento presente anche nellesperienza di fede di Noè e dei cristiani. In altri termini: il rilievo dato da Eb al timore reverenziale nei confronti di Dio, sperimentato sia dai credenti dellAT che dai cristiani, lascia evincere il carattere autenticamente umano delleu)la/beia provata da Gesù verso il Padre. Individuiamo qui un elemento di continuità tra lesperienza religiosa umana e lesperienza singolare di Gesù. Daltro canto, nella passione di Cristo e, di conseguenza, nellesperienza cristiana, si staglia con chiarezza un aspetto di discontinuità e un aspetto di superamento rispetto alla vicenda di Noè. È lo stesso rapporto singolare del Figlio con il Padre (cf. 5,7-8) che purifica da ogni ambiguità teologica il timore reverenziale provato dai cristiani nei confronti di un Dio, immaginato ancora secondo la metafora anticotestamentaria del "fuoco divoratore" (12,29; cf. Dt 4,24 e 9,3 [LXX]). In virtù della singolare dinamica personale attuatasi in Gesù durante la passione, noi cristiani,